Notizie, REDAZIONE

Val di Non, una filiera tra le nevi: dal grano al pane

“Da bambino passavo l’estate tra le spighe. In montagna per mangiare si coltivava anche il frumento. Ogni famiglia contadina doveva produrre tutto, il cibo non si acquistava. Sono cose che restano dentro: appena ho potuto sono tornato a seminare il grano”. Giovanni Pezzini, 64 anni di Amblar, per una vita ha costruito cassette in legno per le mele. Fino al boom della monocoltura frutticola industriale, in Val di Non erano gli artigiani a realizzare i contenitori per Golden e Renette. Poi il mondo è cambiato: i falegnami, ai grandi consorzi contadini, non sono serviti più.
Val di Non, una filiera tra le nevi: dal grano al pane

 “È stato allora — dice Pezzini — che ho scelto di tornare alla terra e al cibo essenziale che avevo conosciuto. Il primo impegno è stato rispettare la natura”. I compaesani, a Sarnonico, erano convinti che la passione lo avesse fatto impazzire: un “noneso” che rinuncia a piantare mele, coltiva cereali sopra i mille metri, recupera varietà antiche e lo fa in modo biologico. “Un amico altoatesino — dice — mi avvertì: sarei resistito solo chiudendo il cerchio, arrivando dal grano fino al pane, dalla terra all’uomo. Tutto in casa e a mano, come una volta”. Dal primo seme nascosto sotto terra sono passati sette anni e la storia di Giovanni Pezzini è diventata un caso nazionale. L’amore per i cereali si è trasformato in un’azienda agricola modello con un mulino tradizionale, in un forno e in un panificio-pasticceria che utilizzano solo materie prime locali e naturali. Con lui lavorano la moglie Annarosa, 57 anni, il figlio Tiziano di 27, le figlie Silvia e Irene, 30 e 25. Hanno intuito che il vento cambiava un’altra volta e hanno avuto il coraggio di ricominciare la vita in tempo. Annarosa non pulisce più le case altrui: lavora in campagna e nel forno. Tiziano, dopo quattro anni di scuola per falegnami e sei in un mobilificio, si è licenziato e coltiva sette ettari a grano tenero, segale, mais, orzo, grano saraceno, farro e avena. Irene, un diploma alberghiero e alcune stagioni come cuoca e cameriera, fa pane e dolci che richiamano clienti da tutto il Nordest. Silvia, infermiera, ha lasciato l’ospedale e manda avanti il negozio di famiglia.

“Tre anni fa — dice Irene — in pochi mesi avevano chiuso i due panifici del paese. Avere il pane, per una comunità, resta cruciale. In quel momento noi lasciavamo riposare i primi raccolti di cereali, mio padre aveva appena recuperato due vecchi mulini a pietra di metà Novecento. La gente ci ha chiesto di fare qualcosa: abbiamo provato a unire davvero il seme al pane, scommettendo su sostenibilità e qualità”. A Sarnonico così hanno riaperto forno e panificio ed è nato il progetto “Dal Gran al Pan”, che prevede anche il recupero di varietà resistenti di cereali estremi. Orzo, frumento e grano nascono da semi antichi selezionati per l’alta quota, presenti da secoli solo tra le Dolomiti e giunti a un passo dall’estinzione su tutte le Alpi. “Gli amici che ci prendevano in giro — dice Tiziano — ora sono i primi a sostenerci. Hanno anche offerto una specie di mais, quella detta “di Revò”, che si credeva perduta. I mulini antichi a pietre orizzontali sono diventati quattro, dal pezzo di terra di mio padre abbiamo potuto recuperare e affittare le campagne di un tempo, ridotte a pascolo. In tre orti biologici produciamo erbe e ortaggi per i pani speciali”.

Val di Non, una filiera tra le nevi: dal grano al pane

L’esempio ha convinto anche gli scettici e sta dando vita ad un mini-distretto del rispetto agricolo d’alta quota. Qualcuno si è messo ad allevare in modo naturale galline nei prati e fornisce ai Pezzini le uova per torte e biscotti. Alcuni apicoltori spingono gli alveari nei boschi della Mendola per ottenere miele privo di pesticidi, che migliora le proprietà del lievito madre usato per il pane. Un contadino ha piantato meli resistenti e tagliato i trattamenti, per fornire le Renette che permettono di sfornare il primo strudel biologico italiano. “In ottobre — dice Tiziano — ho seminato il primo grano duro. Adesso riposa sotto la neve. Due ragazzi hanno cominciato a produrre pasta integrale con cereali rari per l’alta ristorazione: insieme possiamo far nascere gli archeo- maccheroni bio con le farine macinate tra i boschi e l’acqua di sorgente delle Dolomiti”. Nel forno il lavoro comincia a mezzanotte. In campagna, d’estate, finisce ventidue ore dopo. Ogni giorno. La terra sana e il cibo buono hanno bisogno di cura. “Abbiamo provato — dice Giovanni Pezzini — a fare qualcosa di unico. La normalità oggi non basta. Per noi la lezione è che solo il rispetto sostanziale della natura permette di vivere a testa alta”.

FONTE: http://www.repubblica.it
Back to list