Castelnuovo Scrivia. Negli anni Trenta era il cereale più coltivato d’Italia, il protagonista di quella “Battaglia del grano” che Mussolini lanciò nella speranza di risollevare l’economia agricola del Paese. A ottant’anni di distanza, però, la varietà di grano “San Pastore” (per alcuni “il grano di Mussolini”) sopravviveva solo nei centri di ricerca, come un esemplare in via di estinzione. Eppure, se meno di un secolo fa occupava una superficie di circa un milione e mezzo di ettari in tutta Italia, un motivo doveva pur esserci.
L’idea di Luca Benicchi. E’ partito da questo presupposto Luca Benicchi dell’azienda agricola “Elilu” di Castelnuovo Scrivia, ideatore di un progetto di riscoperta di questa particolare varietà di grano che in poco tempo ha coinvolto decine di produttori oltrepadani e tortonesi, i quali si sono uniti in sua difesa nel “Consorzio Nazionale Produttori San Pastore”. «Il San Pastore – spiega Benicchi – è una delle varietà di grano tenero “inventate” dall’agronomo Nazareno Strampelli, che tra la fine del 1800 e il 1930 si dedicò quasi esclusivamente alla selezione dei frumenti per la creazione di una qualità “perfetta”, da utilizzare su larga scala per la produzione italiana. Mussolini e i suoi, quindi, quando scelsero le varietà da usare nella nota “Battaglia” non lo fecero casualmente».
IL GRANO DI MUSSOLINI. «Si affidarono agli studi più all’avanguardia, e selezionarono proprio questa qualità per tutta una serie di ragioni: era un grano tenero, facilmente digeribile e molto produttivo, adattissimo alla lavorazione artigianale del pane. Per qualche anno, quindi, il San Pastore godette di una grandissima fortuna, che però andò declinando nel dopoguerra, quando le lavorazioni industriali obbligarono i coltivatori a scegliere altre varietà più elastiche, che resistessero meglio al trattamento riservato loro dai macchinari moderni». E allora perché ripiantarlo? Perché decidere di coltivarlo oggi, nel 2018, un grano ormai andato in disuso? «La risposta – dice Benicchi – è semplice: per fare altri tipi di prodotti, più genuini e soprattutto più digeribili. A furia di consumare alimenti a base di grani poco digeribili, infatti, sono aumentati a dismisura negli ultimi anni i casi di intolleranza al glutine e di celiachia, che non sono affatto disturbi “nuovi”, sono semplicemente disturbi che i grani antichi non provocavano, perché molto meglio assimilabili. Proprio per fornire una valida soluzione a chi soffre di questi problemi, dunque, abbiamo deciso con un gruppo di coltivatori, panificatori e distributori della zona ( una trentina di operatori in tutto) di rimettere mano a questo prodotto ormai scomparsi e di provare a rilanciarlo sul mercato».
il grano che fa star meglio. «Non solo come farina, ma anche già come prodotto finito, come pane: il “Pane grosso di Tortona”». Chiamato così in onore dell’omonima moneta (il “grosso” di Tortona, appunto) battuta un tempo dalla città piemontese, il pane grosso di Tortona è lavorato in pagnotte di grandi dimensioni, solcate da una stella a otto punte, la stessa che contraddistingue lo stemma del vescovo Vittorio Viola. Anche in questo caso, non si tratta di una scelta casuale: «Il nucleo di partenza si colloca non in Piemonte né in Lombardia, ma nel territorio della Diocesi di Tortona, a cui il suo nome e la sua forma rendono omaggio».
FONTE: http://laprovinciapavese.gelocal.it