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Toast sandwich: il panino ripieno di pane esiste davvero

Mia zia usa mangiare la pasta con il pane. Una cosa che a me, che mi atteggio a purista di gusti e abbinamenti, fa abbastanza inorridire. Salvo poi sorprendermi mentre, distrattamente, anch’io tiro su l’ultimo maccherone pieno di sugo aiutandomi con una crosta di sfilatino. Ma dove sta scritto che pane e pasta insieme non vanno? Beh nella natura di quegli alimenti, direte voi: entrambi carboidrati, anzi entrambi a base di farina di grano. E però, però, come sempre quando si tratta di cibo (quando si tratta di quasi tutto) viene a galla che è più una questione di convenzioni che di logica.

La pietanza più economica di tutti i tempi. Ma non la più triste

Altrimenti non si spiegherebbe perché invece accettiamo senza arricciare il naso piatti dalla tradizione consolidata come la napoletana pasta e patate o i tortellini di patate mugellani (amido al quadrato, e la glicemia s’impenna). Oppure la pasta ammuddicata, ricetta meridionale dalla Basilicata alla Sicilia, dove le briciole di pane, rese interessanti dalla tostatura e insaporite da poche ma decise aggiunte come capperi e olive, vanno a condire l’altro carboidrato. Per non parlare del tarallo sbriciolato, che oramai – in nome della “conzistenza”, come dice il mio compaesano Cannavacciuolo – sto vedendo spargere come topping dappertutto, dalla pasta con la colatura di alici a certe pizze gourmet. Ma qui stiamo per parlarvi di una cosa che va oltre: il panino di pane.

Ebbene sì: una cosa che abbiamo fatto magari da bambini per gioco, mettere una fetta di pane in mezzo ad altro pane, è una ricetta che esiste. Una ricetta inglese di 158 anni fa, per la precisione: nel 1861 un manuale di quelli come si usavano una volta, The Book of Household Management di Mrs. Beeton, prevedeva quanto segue.

Porre una fetta molto sottile di pane tostato freddo tra due fette sottili di pane imburrato, condire con sale e pepe.

Fa ridere, come si dice, ma fa anche riflettere. Il pane tostato per variare almeno nella consistenza la farcia rispetto al contenitore, il sottile velo di burro, il sale e il pepe per dare quell’umami che vagamente ricordi la carne o altro ripieno più degno di questo nome… Vengono in mente accorgimenti e auto-inganni dei tempi di massima povertà: l’unico pesce a centro tavola sul quale i commensali insaporivano fino a consumarlo le fette di polenta, al nord; o gli spaghetti alle vongole scappate, a Napoli, dove del mollusco non resta che il ricordo, la voglia. Viene in mente il motivo per cui mia zia mangia il pane con la pasta: perché lo ha sempre fatto, lo ha imparato a fare quando era piccola e c’era la guerra, e bisognava riempirsi la panza in qualche modo.

E infatti qualche anno fa la ricetta è stata riesumata dalla Royal Society of Chemistry, che un po’ per scherzo ha detto: andiamo incontro a tempi duri, conviene recuperare ricette povere come questa, che è la preparazione meno costosa di tutti i tempi, vi sfido a trovarne di più economiche. Non l’avesse mai fatto, by the way, è stata presa d’assalto, ritirando l’offerta dopo 5 giorni. Proseguendo però la lettura del manualone si scopre che: ulteriori suggerimenti prevedono una sottile fetta di carne o salume; e soprattutto il toast sandwich è specificamente indicato per stimolare l’appetito di un “invalid”. Trattasi quindi non di cibo povero per mancanza di risorse, ma di precisa prescrizione medica: una specie di pastina in bianco o riso bollito che si da ai malati insomma.

D’altra parte, se andiamo a scavare nel passato, vediamo che la scarsità di ingredienti nobili è alla base di ingegnose varianti, non di composizioni ricorsive come il pane dentro il pane. Qualche anno fa è stato ristampato un libro del 1942, La cucina del tempo di guerra, manuale pratico per le famiglie di Lunella De Seta – in edizione anastatica, quasi a sottolineare scaramanticamente che di curiosità storica trattasi, non di rinnovata necessità pratica. E quindi vai di maionese fatta con olio di lino, patate in crema rossa senza condimento, dolcetti di farina di castagne senza zucchero, caffè d’orzo o fatto con la farina di ghiande tostate. Un po’ come gli ingredienti che Petronilla, sempre a cavallo tra anni 30 e 40, suggeriva nelle sue rubriche sulla Domenica del Corriere e nei suoi libri: torsoli di verza, budella di pollo, bucce della frutta, baccelli dei fagioli.

Ma tornando al meraviglioso toast sandwich, invano cercheremmo qualcosa di simile e di più, per così dire, puro. Certo salta alla mente il siciliano pane e panelle, ma al di là del nome e di una illusoria consistenza, l’imbottitura di questo panino è realizzata con la farina di ceci, una versione fritta della farinata: si tratta quindi di proteine, vegetali ma pur sempre proteine; è un pasto che regge anche dal punto di vista della completezza nutrizionale, come direbbe il tuo medico, non solo del gusto. Certo ci sono numerose ricette di carne ripiena di… carne, ma siamo agli antipodi della morigeratezza.

Piuttosto ci si è chiesti, scherzando ma non troppo: può essere il toast sandwich considerato davvero un sandwich? Ovvero, sfociando nell’ontologia: che cosa è un sandwich? E qui ovviamente si scopre che dipende dalle interpretazioni più o meno restrittive che si danno della struttura del panino, e della farcitura, secondo il cristallino schema che segue:

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Perciò se si è puristi sulla forma ma permissivi sul contenuto, il panino di pane può essere annoverato tra i panini al 100%.

Nota finale: continuando a leggere le ricette del manualone inglese di 160 anni fa, ci si imbatte subito dopo in quella che strappa al toast sandwich, surclassandolo, il primato di pietanza più triste di tutti i tempi. Signori, stiamo parlando di “toast-and-water”, ovvero una fetta di pane semplice, tostata, sulla quale viene versato un quarto di acqua bollente. Poi si lascia raffreddare il tutto, e si mangia. O si beve, non ho capito bene. Che sia per i malati o per i tempi di guerra, poco cambia, a questo punto. Se non è pane tostato, è pan bagnato.

FONTE: https://www.esquire.com

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