La risposta a questo quesito è un pochino complessa poiché intervengo una serie di modificazioni chimico fisiche di cui alcune non comprese ancora pienamente; in ogni modo cercherò di semplificare e di riassumere il più possibile. Il termine invecchiamento riferito al pane non è propriamente corretto, ma trae ispirazione da un linguaggio dialettale corrente e molto diffuso; il pane non invecchia ma rafferma.
Il processo che porta alla perdita dell’accettabilità del prodotto da parte del consumatore si chiama raffermimento o staling per usare una parola internazionale e avviene subito dopo il trasudamento.
Il raffermimento può, pertanto, essere identificato come l’insieme dei fenomeni alterativi che si manifestano in un lasso di tempo, più o meno lungo, che prendono avvio nel momento in cui il pane è sfornato, includendo il trasudamento, e si protraggono fino a quando il pane perde l’accettabilità da parte del consumatore, cioè diventa “duro” e “secco”.
Se da una parte l’alimento pane tal quale ha una vita commerciale o di scaffale (shelf – life) abbastanza limitata dall’altro, a differenza di un altro alimento, può proseguire il suo impiego come riutilizzo in moltissime preparazione culinarie.
Torniamo però al quesito iniziale.
Alcuni dei fattori ai quali si assiste nella primissima fase dello sfornamento, nota appunto come trasudamento, sono: l’evaporazione di acqua, la migrazione della stessa dalla parte più interna (mollica) verso la crosta, il crepitio della crosta per il gap di temperatura interno/esterno al forno, il ripristino della struttura ordinata dell’amido o ricristallizzazione, ecc.
Riguardo quest’ultimo punto, il ripristino della struttura ordinata, originale, nativa dell’amido non sarà mai possibile; si potrà ottenere uno stadio intermedio gelificato rigido dovuto al riarrangiamento delle catene di amilosio e di amilopectina in una struttura reticolare che imprigiona acqua e i granuli di amido rigonfi.
Questa struttura può modificare il suo stato fisico se s’innalza la temperatura (riscaldamento a T>60°C); nel momento in cui, però, si raffredda la struttura acquista una maggior rigidità poiché l’innalzamento della temperatura ha fatto evaporare parte delle molecole di acqua imprigionate.
L’evaporazione e la migrazione delle molecole di acqua tra i componenti dell’impasto (proteine/proteine, proteine/amido, amido/amido, lipidi/proteine, lipidi/amido ecc.) sono fenomeni che amplificano tutte le iterazioni intermolecolari, specifiche del raffermimento; la perdita di acqua quindi velocizza lo staling o indurimento e contribuisce alla maggior secchezza, sbriciolamento, minor sensazione di umidità al tatto e al palato.
A sua volta il raffermimento, inteso come insieme di modifiche nell’unità di tempo, dipende da alcuni fattori come:
- Condizioni di cottura (tempo di apertura dei tiraggi del forno, temperatura/tempo di cottura, pezzatura, ecc.)
- Presenza di sale (sostanza igroscopica che può svolgere un ruolo chiave nell’assorbimento/perdita di acqua).
- Presenza di lipidi, zuccheri, emulsionanti, proteine, pentosani, enzimi, crusca, fibre, ecc.
- Varietà botanica (amilosio/amilopectina).
- Metodo di lavoro adottato (indiretto con biga, indiretto con madre, diretto)
- Condizioni ambientali di stoccaggio e conservazione.
- Metodo di conservazione
Per quanto riguarda questi due ultimi punti ricordo che il pane non deve assolutamente essere conservato in frigorifero perché valori prossimi a +4°C rappresentano l’optimum per lo staling, ma deve essere conservato nel suo sacchetto di carta. Dopo sei/ sette ore dallo sfornamento, il sacchetto di carta contenente il pane può essere inserito in un sacchetto di cellophane sempre se il pane è acquistato in un panificio professionale, per evitare perdita o acquisto di vapore acqueo.
Se invece, il pane proviene da una produzione casalinga, soprattutto se di pezzatura maggiore di 500,0 g, non consiglio di introdurlo dopo sei/sette ore nel sacchetto di cellophane, ma di lasciarlo in quello di carta.
Il motivo va ricercato non solo nella differente modalità tecnica di cottura dei forni casalinghi rispetto a quelli presenti nei panifici, ma nella presenza dei “tiraggi o valvole di fuoriuscita del vapore” che, unitamente all’apertura delle bocche del forno, permettono un’asciugatura maggiore della mollica e un minor “rinvenimento” del pane dopo lo sfornamento.
La minor presenza di acqua libera (aw) riduce il rischio di sviluppo microbico interno al prodotto se conservato nel sacchetto di cellophane, impermeabile a ossigeno e vapore acqueo.
Il pane fresco può benissimo essere congelato dopo il raffreddamento. Se si possiede un abbattitore, si può operare direttamente per il passaggio forno – abbattitore e successivamente …congelatore.
Nella speranza di essere stata esaustiva e ringraziando per aver posto il quesito, invio i miei più cordiali saluti. A disposizione.
Simona Lauri
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