Una pagnotta gialla come l’oro e tonda come il sole, da donare con l’auspicio che i lunghi mesi d’inverno si esauriscano in fretta. Ha il fascino della leggenda e la sacralità del rito propiziatorio la miscela di miele, frutta secca e cedro candito che anima la ricetta tradizionale del Pangiallo romano: un dolce che per quasi duemila anni è stato nel Lazio il piatto tipico delle feste natalizie, ma che oggi purtroppo risulta quasi completamente estinto dalle tavole e dai banconi di bar, pasticcerie e fornai della Capitale.
Una storia antica
La sua storia è antica quasi quanto Roma. Si tramanda che già nell’età imperiale fosse usanza, in occasione del solstizio d’inverno, preparare e regalare un dolce che per forma e colore ricordasse il sole. Perché la sua parte esterna, di un giallo acceso, avrebbe portato in casa la luce intensa che richiamava il ritorno della bella stagione. In un capitolo dedicato ai dolci del «De re coquinaria» di Apicio, noto «chef» dell’antichità, si trova traccia della ricetta del Pangiallo. Il cuoco consigliava: «mescola nel miele pepato del vino puro, uva passita e della ruta. Unisci a questi ingredienti pinoli, noci e farina d’orzo. Aggiungi le noci raccolte nella città di Avella, tostate e sminuzzate, poi servi in tavola». Col tempo, nei secoli, divenne la specialità dei fornai della città e della regione, nonché il vanto della produzione domestica di dolciumi natalizi. Ma negli ultimi anni, cannibalizzato dai più commerciali pandori e panettoni ammassati sugli scaffali dei supermercati, è diventato una prelibatezza rara.
La tradizione ai Castelli
Eppure la tradizione del Pangiallo resiste, soprattutto nella zona dei Castelli Romani. Mentre in città sono ormai pochissime le botteghe e pasticcerie dalla romanità irriducibile che continuano a sfornarlo. Come «Regoli», in via dello Statuto (tel. 06.4872812), dove l’insegna recita «dal 1916» e oltre alla dolce pagnotta beneaugurante si possono gustare gli altrettanto rari mostaccioli romani. Oppure come l’Antico Forno Angelo Colapicchioni, aperto nel 1934 a pochi passi da Castel Sant’Angelo (in via Tacito, tel. 06.3215405) che ne offre la versione Pangiall’oro impreziosita da pistacchi di Bronte, mandorle di Noto e piccole gocce di cioccolato fondente. Immancabile, poi, un baluardo trasteverino del Pangiallo: dal 1925 è la Pasticceria Valzani, con i suoi laboratori alla fine di via del Moro (tel. 06. 5803792). Infine Castroni, tempio della migliore gastronomia, che in via Cola di Rienzo concede ancora il piacere di poter gustare e regalare questo dolce sole in miniatura (te. 06.6874383).
FONTE: http://roma.corriere.it