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Non solo riso: perché il Giappone ama il pane

Soffici pani in cassetta, croissant sfogliati, pagnotte paysanne dalla crosta croccante e la mollica morbida, mini quiche, bretzel intrecciati alla perfezione e panini conditi nei modi più svariati. Non è l’assortimento di una boulangerie francese particolarmente aperta alle altre tradizioni europee, ma solo un assaggio di quello che si può trovare curiosando tra i banchi delle tante bakery di Tokyo; che si tratti del punto vendita in una delle numerose food court ospitate nei seminterrati dei grandi magazzini di lusso o delle stazioni principali – come il bel Tokyu Food Show a Shibuya o Matsuya a Ginza – o di vere e proprie panetterie disseminate nei diversi quartieri della città. Da quando il pane di stampo francese e italiano ha iniziato a prendere piede sul serio in Giappone, spesso sostituendo il riso (tanto che ne ha risentito anche la coltivazione e produzione nazionale dell’alimento simbolo per eccellenza della dieta giapponese, con la scomparsa di numerose risaie), la panificazione è diventata un’arte sempre più diffusa e raffinata.

SPERIMENTAZIONE NIPPONICA

L’AMORE PER LA PANIFICAZIONE EUROPEA

L’arrivo della baguette francese – e di un buon assortimento di viennoiserie varia – risale al 1888, con l’apertura di Sekiguchi France-pan, a Bunkyo, dove oggi si sfornano oltre 100 tipi diversi di pane incluse le baguette al tè matcha. Nel 1933 apre invece a Karuizawa la Boulangerie Asanoya, che riscuote un grande successo rifornendo le principali ambasciate europee e oggi ha un punto vendita anche nella food hall di Matsuya a Ginza. È soprattutto negli ultimi 10 anni, però, che lo stile di panificazione artigianale di stampo occidentale e in particolare europeo, con attenzione alla provenienza dei grani e degli altri ingredienti e alle tecniche di lievitazione e cottura, ha definitivamente preso piede in Giappone e soprattutto a Tokyo, ad opera di grandi boulanger francesi ma anche di eccellenti colleghi giapponesi.

Così ci racconta, ad esempio, Masaaki Kikuchi, direttore dell’Hillside Pantry a Dakanyama, moderno quartiere cuore dello shopping più trendy (o oshare, in giapponese) gastronomico e non.  “A Tokyo il pane è cresciuto molto negli ultimi dieci anni. Oggi c’è molta gente che lo compra ogni giorno, tante persone anziane del quartiere vengono qui a prendere la loro baguette. Da noi è tutto sempre fresco, non usiamo niente di congelato o prelavorato”, spiega orgoglioso Kikuchi mentre ci mostra il laboratorio e grossi sacchi delle farine – in arrivo dall’Occidente e dalla penisola di Hokkaido, al nord del Giappone – che sono miscelate ad hoc a seconda delle ricette. Caffetteria, delicatessen, negozio di gastronomia e panetteria, l’Hillside Pantry è un punto di riferimento in zona per tutto ciò che è buono a cominciare dal pane appena sfornato: da quello con il curry o con l’anko (la marmellata di fagioli rossi Azuki) alle pagnotte rustiche, dal pane con fichi e noci o con alici e pomodori secchi – di chiara influenza italiana – fino ai panini impastati con il formaggio, che qui spesso sostituiscono l’idea del pane e companatico e diventano la scelta preferita per una pausa pranzo completa, golosa e dal sapore esotico.

L’INFLUENZA ITALIANA

Se gran parte delle bakery di Tokyo guidate da artigiani giapponesi s’ispira dichiaratamente alla tradizione francese e – più di recente – a quella del Nord Europa, in un tripudio dicinnamon rolls, strudel e pane di segale, l’influenza italiana ha invece creato già diverse generazioni di bravissimi pizzaioli autoctoni che sfornano pizze napoletane da manuale ma anche pizze di stile più moderno e originale, mescolando farine e lavorazioni italiane a ingredienti e sapori locali. Eppure non mancano grandi nomi a tenere alta la bandiera dell’arte bianca tricolore nella capitale nipponica: dai cornetti e le focacce di Princi, da poco sbarcati nella zona di Nakameguro all’interno della Reserve Roastery Tokyo di Starbucks, fino al cestino del pane realizzato da Fabrizio Fiorani – appena premiato come Best Pastry Chef all’edizione 2019 degli Asia’s 50 Best Restaurants – per il lussuoso Ristorante Luca Fantin di Bulgari a Ginza, dove ha curato fino a pochi giorni fa, prima di rientrare in Italia, anche la pasticceria e il cioccolato.

Proprio come per le portate del menu, qui il pane – che, ci spiega Fabrizio, è in effetti concepito come una portata vera e propria anziché un compagno di viaggio per tutto il pasto è al 100% italiano e non si piega a gusti e abitudini locali. “Il pane e l’acqua – prosegue – sono un simbolo per eccellenza dell’ospitalità italiana, e noi vi dedichiamo un’attenzione quasi religiosa”. Ecco perché l’ospite de Il Ristorante Luca Fantin, appena si siede al tavolo, è accolto con i fragranti grissini di polenta che Fabrizio prepara con la farina di mais del Mulino Marino, accompagnati dall’acqua che preferisce. Poi, insieme all’antipasto arriva la pagnotta appena sfornata a ogni servizio – a base di farina bianca e lievito madre – accompagnata da una selezione di oli extravergine italiani e giapponesi e di sali differenti: “Niente funziona meglio, l’olio ci rappresenta e noi non serviamo burro in tavola”. Con le portate a base di pesce, però, lo cucina manda in tavola una girella sfogliata con il burro giapponese che aggiunge un tocco di golosità alla portata più delicata del menu. “Fino a qualche mese fa avevamo altri due pani in linea ma, con il caldo, abbiamo deciso di eliminarle. Anche perché se il pane è troppo buono il cliente non mangia il dessert!

FONTE: https://www.agrodolce.it

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