Li avrete incrociati in rete anche voi, e forse ne avete uno in casa. O magari fate parte della folta schiera di quelli che odiano quelli che li esaltano e li condividono. O di quelli che difendono quelli che lo sono da quelli che li odiano. Perché i panificatori della quarantena sono ormai una realtà consolidata e stanno spargendo il verbo della pasta madre ovunque nel web. Sono gli accaparratori seriali di lievito di birra, i fissati delle chat sui tempi di maturazione e della puntatura, sono quelli che mentre il resto del mondo si occupa del virus, affondano le mani nell’impasto di acqua e farina, incuranti di quello che succede all’esterno del loro forno.
Sono i procrastibaking, come ha stabilito l’urban dictonary americano usando un neologismo che calza a pennello ai panificatori ai tempi del coronavirus.
Perché l’Urban dictonary non fa altro che fotografare una tendenza che trova in un termine la sua epifania, catalogando una parola non riconosciuta ma largamente in uso.
Il mondo cola a picco? E noi panifichiamo.
E non è solo il tempo del pane, ma anche di tutte le sue declinazioni, come le trecce, che a seconda della nazione e della religione diventano l’Osterzopf alto atesino, la challah ebraica, la treccia di Pasqua del centro Italia, la treccia al burro svizzera: impazzano su instagram e sono tra le più copiate dagli aspiranti panificatori e tra le ricette più apprezzate tra i fornai procrastinatori. Perché lievita, perché ha bisogno di tempo e concentrazione e perché fare la treccia richiede un’abilità e un tempo in più: che possiamo togliere a qualunque altra attività vogliamo procrastinare, soprattutto al pensiero del virus.
Andrea Grazioli, ex giornalista che ha deciso di reinventare la sua vita e di dedicarla al pane, è l’esempio perfetto di appassionato procrastinatore. Andrea ha scoperto di essere panificatore mentre scriveva per la Gazzetta dello Sport: «Era da un bel po’ che ci pensavo, volevo cambiare e approcciarmi a questa nuova vita, ho scritto a Davide Longoni (il maestro indiscusso del fermento, ndr) su Facebook per avere un suggerimento su una scuola di panificazione. Lui ha fatto molto di più: mi ha chiamato e mi ha offerto l’opportunità di andare nel suo laboratorio e imparare direttamente da lui. Era il momento di cambiare vita, e qui ho scoperto la mia nuova strada.»
Che cosa vuoi procrastinare, oggi? «Se vogliamo attualizzare il pensiero al periodo che stiamo vivendo, è scoppiata la mania collettiva del pane in casa come aiuto per procrastinare ansie e pensieri negativi. La fretta è nemica del pane e prepararlo ti aiuta a dare un senso alle attese. A me sta aiutando davvero e facendolo ormai professionalmente mi rendo conto che sto rimandando le preoccupazioni a quello che sarà quando tutto potrà ripartire. Poter lavorare oggi è di sicuro terapeutico, ti permette di staccarti dai pensieri che ti possono prendere, e ti fa stare un po’ alla larga dai social che bombardano con ogni tipo di notizia. Il fatto di stare in laboratorio con le nuove procedure di sicurezza ha voluto dire una riorganizzazione degli spazi, e serve più concentrazione. Anche questo permette di non pensare troppo.»
Quindi fare il pane non è più solo un procrastinare altro, per te? «In realtà impastare ti cancella dalla mente tutti gli altri impegni. Avevo così tante cose da fare che mi sono messo a panificare e ho dimenticato tutto, persino il lavoro di prima. Per me ormai funziona così ogni giorno. Qui da Davide sto imparando tanto, e se a livello manuale è molto impegnativo, dal punto di vista umano è impagabile: arriva gente da mondi diversi, il suo è un modo di vivere il pane che ti attira anche dal punto di vista culturale, non è semplicemente fare il pane, ma un nuovo modo di concepire questo prodotto e un nuovo modo di pensare il panettiere come figura di grande capacità, dandogli importanza come persona.»
Proprio a sottolineare questo nuovo corso, Davide Longoni ha creato il gruppo dei PAU, panificatori agricoli urbani, che segna una strada per tutti i professionisti del pane che desiderano dare una spinta e una linfa contemporanea a un mestiere sempre più valorizzato.
E che non viene vissuto come esclusivo: Longoni è l’esempio di come la condivisione sia un valore, con i corsi per gli aspiranti panificatori, i tutorial per i panettieri della domenica, la grande attività di ricerca in giro per il mondo e la voglia quotidiana di fare divulgazione. Condivisione che avviene materialmente anche donando a chi compra pane e farine da lui una parte del suo prezioso lievito madre, origine di tutta la sua attività.
Si può avere comprando online il libro che ha pubblicato per Cucchiaio d’Argento con il collega Mauro Iannantuoni, e arriva a casa grazie a Cosa porto insieme alle farine per iniziare subito la sperimentazione di un’attività che cancella tutte le altre priorità, in un rinfresco.
Se invece avete voglia di tentare la sorte con una sperimentazione al 100% domestica ecco arrivare in vostro soccorso la ricetta di casa dello chef stellato Luca Marchini del ristorante L’erba del Re di Modena.
Abbiamo scoperto che questo grande esercizio di pazienza può essere un ottimo antistress per le lunghe giornate di quarantena. Curare il nostro lievito potrà dare un nuovo senso al tempo e trasformarci presto in panettieri procrastinatori.
«Queste sono le informazioni relative al mondo “domestico” del lievito madre e della panificazione, il mio approccio non può che essere professionale, ma rivolto a chi amatorialmente si avvicina a questa materia.» sottolinea lo chef.
«Sicuramente in primis bisogna essere consci che approcciare anche non professionalmente la panificazione con il lievito madre comporta un lavoro preciso, costante e metodico. Il lievito è assolutamente vivo, quindi, anche se i metodi fondamentali sono essenzialmente sempre gli stessi nel tempo, il comportamento del lievito a volte può essere imprevedibile: bisognerà apportare modifiche e cambiamenti che saranno sempre più adeguati tanto più è elevata l’esperienza e la conoscenza del proprio lievito.
Una regola fondamentale è iniziare il lievito con una farina di buona qualità e possibilmente non troppo setacciata. Io consiglio la Tipo 1 con più crusca e più germe del chicco di grano (in scala 00 – 0 – tipo 1 – tipo 2, quest’ultima semi-integrale, ed infine integrale).
Non è obbligatorio utilizzare una impastatrice, già il lavoro manuale permette di avere dei buoni risultati. Certo è che la vita quotidiana, magari non in questo periodo, spesso risulta essere frenetica e veloce, quindi un adeguato elettrodomestico potrebbe dare una buona mano, sia in termini di tempo che di risultato finale. Per impastare io personalmente suggerisco sempre una grande spianatoia di legno, anche in questo caso non obbligatoria, ma a volte può aiutare. In alternativa, vanno bene anche marmo o acciaio.»