Fivizzano, Lunigiana, 7900 abitanti, arrampicato tra Appennino tosco-emiliano e Apuane: terra di funghi, castagne e pane. Era centro ricco e popoloso fino al dopoguerra: ora la montagna si è spopolata ma ci sono tradizioni che restano. Come quella del forno a legna. Di padre in figlio, e in nipote, sono stati tramandati i segreti del buon pane, ogni forno il suo. E poiché la gente è poca ma la qualità di quel pane è riconosciuta, di forni ne sopravvivono tanti, che vendono per lo più “lontano da casa”: da Spezia a Massa, Versilia e 5 Terre, fin verso Genova, Parma o Reggio. Tanto che si può parlare di una specie di “via del pane”, via turistica tra boschi e uliveti, che idealmente li unisce.
Di forma tonda e piuttosto grande, crosta brunita e morbida, impasto soffice e abbastanza scuro, i pani “apuani” si fanno notare in una regione che è nota per il suo pane “sciocco”, senza sale e bianco. Ma qui siamo in montagna, e il sale, che era ingrediente costoso ma serviva per contrastare l’assenza di iodio nell’acqua, si mette. L’uso della farina integrale, poi, contribuisce a rendere questi pani piuttosto saporiti. Perfetti per pasteggiare, ma ciascuno con una sua “vocazione”.

La “variante” più comune prevede l’uso di farina di grano duro e di una percentuale variabile di integrale: si trova nei forni Santucci di Fivizzano, Agnino, Ceserano, Po’. Quello di Po’ soprattutto è ricercato da chi viene da “fuori”: si lascia la statale del Cerreto, ci si inerpica tra i castagni, per poi arrivare in un borgo davvero minuscolo (una trentina di abitanti, fornaio compreso). Qui la famiglia Fiorini ha aperto a fine Anni 30. Il loro pane, soffice e profumatissimo, è un mix di farina integrale (il 15%), zero e doppio zero, macinata a pietra. L’acqua è di una fonte locale. La lievitazione si ottiene con lievito madre arricchito da quello di birra «per essere certi che il pane cresca in forno. Ogni alba la cottura è una scommessa: l’altitudine, le temperature…», ci dice il fornaio Leonardo Rossini. Abbinamento consigliato: burro (dei caseifici emiliani) e acciughe (di Monterosso), per unire a tavola le tre regioni che qui si toccano.

E inerpicata fuori dal mondo è anche Vinca, schiacciata dall’incombere delle Apuane. Il pane tipico di qui è quello che i cavatori portavano con sé quando lasciavano casa per trasferirsi in cava: stavano via quasi una settimana, era essenziale durasse. Per questo la farina integrale era tanta (ora la percentuale è diminuita) e la forma una ruota da più di 2 chili.