In questo articolo parleremo delle fake news sulla farina, accusata spesso di essere nociva a causa della presenza del glutine. Analizziamo insieme la storia genetica del grano e le ultime ricerche scientifiche sulle intolleranze.
“Preferisco i grani antichi perché sono naturali”
Sbagliato. Il grano, per come lo conosciamo, non è presente in natura allo stato selvatico.
Nel nostro immaginario, a un certo punto dell’evoluzione umana, l’uomo passeggiando in un campo ha scoperto le spighe di grano e ha iniziato a sfruttarle per l’alimentazione, creando la farina e tutto ciò che oggi conosciamo.
Nello specifico, il frumento ha una storia evolutiva piuttosto particolare che ha inizio nella famosa “mezzaluna fertile”, l’area mediorientale compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, dove circa 10.000 anni fa un gruppo di uomini ha iniziato a “domesticare” alcune specie vegetali selvatiche.
Nella domesticazione gli effetti della selezione naturale vengono regolati dall’uomo e le nuove specie che compaiono non si incrociano a caso fra loro o con le forme selvatiche, ma vengono selezionate a seconda dei criteri del coltivatore. La selezione dei caratteri utili all’uomo e la conseguente eliminazione di altri, finisce per determinare l’impossibilità della pianta di sopravvivere allo stato selvatico.
Nel caso dei vegetali si sono privilegiati i caratteri relativi alla gradevolezza del sapore, ma la contemporanea eliminazione dei geni responsabili di un sapore sgradevole o di tossicità, i quali avevano la funzione di difendere la pianta da insetti e parassiti, hanno fatto sì che queste piante potessero sopravvivere solo in ambienti controllati dall’uomo.
“Allora non esiste un grano antico?”
Sì, il farro monococco è il grano geneticamente più antico.
Prima dell’invenzione dell’agricoltura, nella mezzaluna fertile, crescevano spontaneamente due specie selvatiche: il Triticum boeoticum e il Triticum urartu.
Con la nascita dell’agricoltura, circa 10-12 mila anni fa, gli uomini che avevano iniziato a consumare il T. boeoticum, lo domesticarono ottenendo il farro monococco: il grano geneticamente più antico, che possiamo trovare ancora oggi.
Il Triticum urartu, invece, circa 300.000 anni prima, casualmente si incrocia con una pianta erbacea, dando vita al farro selvatico.
Come leggiamo in Contro natura, libro scritto dal chimico D. Bressanini e dalla biotecnologa B. Mautino, la selezione graduale del farro selvatico generò poi il Triticum dicoccum, meglio noto come farro dicocco: grano principale dell’agricoltura del neolitico.
Fu solo 8000 anni fa che, con uno straordinario avvenimento genetico, il farro dicocco inglobò il genoma di un’altra pianta erbacea generando il farro spelta, che ha infine portato al nostro amato grano tenero, con cui oggi vengono prodotti gli alimenti più amati dagli italiani, come pane e pizza. Fu infatti la combinazione con il genoma della pianta erbacea a migliorare le qualità panificatorie della farina di frumento, permettendole inoltre di resistere ai climi più fretti del nord, dove oggi ne viene prodotta la qualità migliore.
Differenze tra grano duro e grano tenero
Usato per fare pane e birra, il farro era il grano dei faraoni e degli antichi romani. Una serie di mutazioni genetiche casuali seguite da selezioni hanno poi trasformato il farro in altre specie, tra cui la più importante per noi italiani è sicuramente il grano duro, il Triticum durum con cui produciamo la pasta.
Ma quali sono le differenze tra le due tipologie?
Per cominciare, le spighe di grano duro possiedono lunghe reste (le parti filamentose terminali) che nel grano tenero invece sono molto piccole o assenti. Quest’ultimo preferisce la coltura in un clima umido, come quello della pianura padana, mentre il grano duro cresce bene nei terreni assolati come quelli del sud Italia.
Sono proprio queste differenze a far sì che i prodotti ottenuti dai due tipi di frumento siano profondamente diversi: con il grano tenero si ottengono le comuni varietà di farina 00, 0, 1, 2 e integrale, caratterizzata da granuli piccoli e bianchi, che consente una buona estendibilità e solitamente viene impiegata nella panificazione e produzione di prodotti di prodotti lievitati, come i dolci (torte, biscotti, brioches) o le pizze, ma anche nella produzione di pasta fresca e pasta all’uovo. La farina di grano tenero contiene meno proteine rispetto alla farina del grano duro e ha un assorbimento di acqua minore.
Dal grano duro, invece, si ottiene la semola, che possiede una grana grossolana di colore ambrato. L’impasto ottenuto dalla semola di grano duro presenta una estendibilità minore rispetto al tenero, il che la rende adatta sia alla panificazione che soprattutto alla produzione di pasta. La farina di grano duro contiene più proteine e glutine rispetto alla farina di grano tenero e possiede una capacità di assorbimento di acqua maggiore.
Glutine e intolleranze
Il glutine è un insieme di proteine presente in molti vegetali, come frumento, farro, kamut, ecc.
Negli ultimi anni è stato spesso al centro dell’attenzione, accusato di generare intolleranze alimentari nei consumatori. In realtà al giorno d’oggi è la celiachia l’unica malattia di cui si è certi venga originata dal consumo di glutine. Si tratta di una patologia a base genetica che colpisce circa l’1% della popolazione, a causa della quale con l’assunzione di prodotti contenenti glutine, l’intestino subisce dei danni permanenti, con gravi conseguenze per la salute generale dell’uomo.
Tuttavia un numero sempre più alto di persone, non celiache, lamentano dei disturbi assimilabili a un’intolleranza al glutine e perciò tendono a eliminarlo dalla propria dieta, senza svolgere le analisi necessarie e senza parere medico, affermando di sentirsi meglio e vivere meglio.
Questa pratica sempre più comune, unita all’opera di demonizzazione ai danni del glutine, la cui assunzione non causa alcun disturbo alle persone sane, è una procedura in realtà molto rischiosa poiché causa uno squilibrio nella dieta alimentare e in alcuni casi impedisce la corretta diagnosi di un effettivo disturbo di celiachia.
Inoltre, la presunta intolleranza al glutine potrebbe facilmente essere scambiata, dal consumatore, con l’intolleranza ai FODMAPs che sono presenti nel grano ma anche in altri alimenti senza glutine.
Presso l’Università di Brescia è stato condotto qualche anno fa uno studio preliminare sulla sensibilità al glutine in soggetti che praticavano una dieta senza glutine pur non essendo celiaci. Dallo studio è emerso che solo una bassa percentuale, assumendo glutine, lamentava dei disturbi.
È stata notata inoltre la forza del cosiddetto effetto nocebo in alcuni soggetti: il solo pensiero di aver assunto un alimento contenente glutine faceva sì che manifestassero i sintomi, nonostante l’alimento fosse in realtà uno di quelli privi di glutine.
In conclusione
Molti dei grani che oggi vengono spacciati per “antichi” e “naturali” in realtà sono frutto di centinaia di migliaia di anni di selezione naturale e artificiale per questioni di marketing.
Il frumento non è in alcun modo nocivo per una persona sana, né tanto meno il glutine. Quest’ultimo, in particolare, negli anni ha subito un attacco mediatico tale da essere bandito anche dai prodotti cosmetici, nonostante l’Associazione Italiana Celiachia abbia smentito più volte la tossicità di questa sostanza, che rappresenta un pericolo per il celiaco solo se ingerita e quindi a contatto con la mucosa intestinale.
Credete che i vostri disturbi possano derivare da un’intolleranza al glutine? Abolite il fai da te e correte da un buon medico a fare il test!
Per essere consumatori consapevoli è importante imparare a riconoscere le bufale e il modo in cui vengono sfruttate dal marketing (ad esempio attraverso la diffusione dei prodotti “senza”, come vedremo soprattutto nel campo della cosmetica). Queste disinformazioni registrano un ampio seguito grazie alla loro capacità di far leva sulle paure del consumatore, portandolo a spegnere la parte razionale del cervello e ad avere la reazione istintiva di proteggersi dalla sostanza definita “veleno”, senza verificare che la notizia sia vera.
FONTE: http://www.meteoweb.eu