Se è vero che ognuno fa il pane con la farina che ha nel sacco, in molti forni del mondo entra sempre più spesso quella italiana di grano tenero. Soprattutto per via della grande diffusione del consumo di pizza. È questo il dato pubblicato dai mugnai dell’associazione di categoria Italmopa, aderente a Federalimentare e a Confindustria. Nel 2016 il settore ha registrato un aumento delle esportazioni di farina del 13 per cento in volume, rispetto al 2015. E nello stesso periodo il fatturato delle vendite all’estero è passato dai 70 milioni di euro circa agli 84. “Ma solo sei anni prima era di appena 40 milioni di euro”, racconta Piero Luigi Pianu, direttore dell’associazione.
L’anno scorso, circa 150mila tonnellate di farina di grano tenero hanno varcato i confini nazionali dirette soprattutto negli Stati Uniti, in Francia e Gran Bretagna. “Un fatto positivo a conferma che il nostro prodotto piace all’estero”, afferma Ivano Vacondio, presidente Italmopa. E che compensa il calo della domanda sul territorio nazionale che fa seguito al calo del consumo di pane che, per via di nuove abitudini alimentari, “è di circa dell’1-2 per cento all’anno”, prosegue Pianu. In ogni caso, il fatturato dei mugnai italiani, pari a 1,8 miliardi di euro grazie alle farine di grano tenero, è per la maggior parte ancora realizzato in Italia grazie alle vendite ai panifici artigianali e industriali, ai piazzaioli, ai produttori di dolci.
Le ragioni del successo all’estero sono invece da ricercare nel fatto che siamo costretti a importare grano tenero. “E quindi possiamo scegliere il migliore. Mentre i paesi che lo producono tendono a usare il loro”, spiega il direttore di Italmopa. Lo prendiamo dal Nord America o in altri paesi europei come l’Austria. Ma poi l’Italia ha una grande storia di panificazione, che è un altro punto a favore del nostro prodotto. “Qui da noi, l’arte della macinazione del grano – continua Vacondio – si è sviluppata sin da tempi remoti e si avvale ora di innovazioni tecnologiche all’avanguardia che consentono produzioni in grado di rispondere alle esigenze del consumatore globale”.
FONTE: http://www.repubblica.it/