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Iniziativa culturale “Il nostro pane”

Levice. Si è svolto a Levice, mercoledì 3 gennaio,  un innovativo e importante convegno dal titolo “Il Nostro Pane”, una delle prime iniziative organizzate da “La Prima Langa. Osservatorio per il Paesaggio delle valli Alta Bormida e Uzzone”, Associazione senza scopo di lucro di recente costituzione, nata a fine 2016, che ha come scopo la promozione della tutela e della valorizzazione del paesaggio dell’Alta Val Bormida e della Valle Uzzone.

Nella splendida cornice di Palazzo Scarampi di Levice, il convegno ha trattato diversi aspetti relativi alla filiera del pane, a partire dalla produzione dei grani, in particolare dei grani antichi e tradizionali, la loro lavorazione nei mulini locali, la panificazione e la distribuzione del pane nelle valli Bormida e Uzzone. Non sono stati dimenticati gli aspetti nutrizionali positivi che il pane prodotto con grani antichi apporta all’uomo, anche per coloro che soffrono di celiachia o più semplicemente di intolleranze. L’incontro è stato anche l’occasione per discutere di come sia possibile attivare filiere complete, dalla produzione sino al consumo, confrontandosi anche con altre esperienze italiane che già stanno sperimentando questo percorso.

Dopo i saluti istituzionali del padrone di casa, il sindaco di Levice Roberto Vero, l’incontro è stato aperto da Anna Marson, vice presidente di La Prima Langa, già assessore al Territorio e Paesaggio in Regione Toscana, docente universitaria particolarmente legata alla valle Uzzone, che ha tracciato lo stretto rapporto tra il pane e la struttura del paesaggio policulturale dell’alta Langa e delineato le prospettive che una filiera locale del pane può aprire anche per la valorizzazione del patrimonio sia materiale (i terreni marginali comprensivi dei terrazzamenti, i vecchi forni in pietra comunitari che servivano ciascun borgo, ma presenti anche nelle case di paese o nelle cascine isolate, dove le famiglie cuocevano con maestria il pane prodotto dalle sementi locali) sia immateriale (le “biove” o le “micche”, le focacce, la sapienza di saper usare e governare i forni a legna con una precisa sequenza di prodotti sulla base della temperatura dello stesso). È stato inoltre messo in evidenza come la mancanza di tracciabilità delle farine da cui i forni si riforniscono rappresenti una perdita di identità locale: l’importazione dei grani e delle farine non tracciate, oltre a non permettere un controllo anche organolettico del prodotto finale, fa perdere i saperi locali connessi ai diversi tipi di grano, ai loro usi e trasformazioni, alla panificazione. Il pane prodotto con farine importate e trattate non risponde alla nuova esigenza di “mangiare sano” contribuendo alla salute propria e del pianeta che è ormai diventata una richiesta generalizzata da parte dei consumatori che sono sempre più attenti, sia agli aspetti nutrizionali, sia a quelli economici riconoscendo un valere intrinseco alle produzioni che, oltre che sane, rappresentano nella loro intera filiera anche un equo sistema di remunerazione di tutti coloro che intervengono nel processo.

L’esperienza del “Pan ed Langa” presentata da Enrico Giacosa, presidente della associazione autonoma Panificatori del cuneese e promotore del consorzio di tutela “Pan ed Langa”, è una delle più significative esperienze locali che si muove in questo solco: un marchio che combina la salubrità del prodotto finale e l’equità della remunerazione delle diverse fasi della sua produzione (la coltivazione e raccolta delle varietà di grani selezionati da parte dei contadini, la molitura garantita dal mulino Sobrino, i panificatori). Il marchio, o il bollino d’identità e garanzia, è rappresentato da un’ostia con due spighe di grano abbracciate: una rappresenta il “rosso gentile” e la seconda il “gambo di ferro”, entrambe varietà di grano langarolo “anziane”, come sono state definite dallo stesso Giacosa, che sono state recuperate e usate dai panificatori che aderiscono al consorzio. Il Consorzio si basa su tre disciplinari che regolano in modo preciso le fasi di coltivazione del grano, molitura e produzione del pane e applica un interessante sistema di determinazione del prezzo finale che permette anche agli agricoltori di ottenere una equa remunerazione del grano, ben più alta di quella di “mercato” relativa alle varietà standard.

L’intera filiera è stata rappresentata.

L’esperienza dei mulini, raccontata da Andrea Ferro del Mulino Stenca di Cortemilia, ha messo in evidenza come, nonostante le difficoltà, il mulino stia programmando nuovi investimenti con l’avvio di una nuova lavorazione basata sull’uso di macine di pietra. I consumatori e i panificatori sono sempre più attenti a queste nuove filiere e stanno proponendo farine che incorporano il valore intrinseco dei prodotti naturali riscuotendo un buon successo anche se rimane la necessità di “spingere” ulteriormente il mercato verso questi prodotti. I mulini rappresentano uno snodo importante di tutta la filiera: dalla lavorazione del grano si possono ottenere farine più o meno raffinate, base per una corretta panificazione del prodotto finito.

Per quanto riguarda la produzione dei grani Mauro Forneris della Coldiretti di Ceva ha raccontato come l’associazione dei coltivatori stia investendo da quasi vent’anni su queste nuove filiere fornendo consulenza e supporto ai produttori che intendo avviare nuove, ma antiche, colture nell’area dell’Alta Langa, incontrando condizioni favorevoli in tema di clima, umidità, caratteristiche dei suoli, altitudine e spirito imprenditoriale. Forneris ha illustrato dei disciplinari che sono stati applicati in varie filiere di prodotti locali, tra cui anche la produzione di grano monococco Enkir, con buoni risultati in termini economici, ma anche di ettari coltivati. Marcello Gatto ha confermato questo spirito illustrando l’esperienza e i valori cui si riferisce il neonato “Consorzio tutela e valorizzazione cereali e legumi Alta Langa” di cui è presidente. Uno strumento in grado di rispondere alle nuove ed economicamente interessanti esigenze di mercato. Il lavoro in rete degli aderenti al consorzio permette di conservare la tradizione e la qualità ma anche di dialogare direttamente con i consumatori riscoprendo i valori del territorio, del paesaggio e offrendo uno sbocco lavorativo per i giovani.

Anche i piccoli produttori hanno potuto presentare la loro esperienza attraverso la testimonianza di Elia Zanellato che riesce a coniugare piccole dimensioni di appezzamenti con la qualità del prodotto finale anche fuori dai circuiti associativi. Le difficoltà non sono state nascoste, sia in termini economici sia in termini “infrastrutturali”: per recuperare i terrazzamenti alla coltivazione dei cereali occorrono macchinari che siano adattabili alle condizioni degli appezzamenti: piccoli, frammentati e in molti casi difficili da raggiungere con le grandi mietitrebbie che necessitano di strade e spazi adeguati. Ma lo spirito imprenditoriale non manca e la ricerca di macchinari adatti si spinge sino in Cina. Ha inoltre sottolineato come un aspetto importante per i piccoli produttori sia quello di avere una azienda multifunzionale capace di fidelizzare il cliente offrendo una varietà di prodotti: dal grano, al miele, alle nocciole, ad altri tipi di produzioni locali.

Il punto di vista medico, e in particolare della scienza della alimentazione, è stato approfondito da Massimiliano Fossarello, che ha evidenziato come la nostra salute sia strettamente legata a cosa mangiamo e come il cibo rappresenti la nostra “prima medicina” per evitare danni derivanti dall’accumulo di sostanze nocive che assorbiamo attraverso l’alimentazione. La raffinazione spinta delle farine e l’alta presenza di glutine possono portare all’insorgere di malattie anche gravi che possono essere contrastate con una accurata scelta dei prodotti in termini di materie prime e di lavorazione delle stesse.

Il convegno ha inoltre permesso di confrontarsi con altre esperienze italiane già  in corso. L’associazione dei grani antichi di Montespertoli, è un esempio interessante di ricostruzione di una filiera che ha coinvolto un intero territorio nel Chianti fiorentino con il coinvolgimento degli agricoltori, mulini, panificatori e consumatori.  Il lavoro dell’associazione è sono stato presentato dalle Nazioni Unite a Cop 13 a Cancun, insieme ad altri 6 casi internazionali di recupero dei grani antichi,  come esempio di buona pratica di produzione biologica in grado di preservare la biodiversità e i paesaggi.

La filiera cerealicola Gran Prato è invece un esempio di filiera nata in un ambito periurbano che coniuga aspetti ambientali e agricoli. Anch’essa basata su di un disciplinare riconosciuto dagli aderenti, ha ormai raggiunto dimensioni ragguardevoli con una produzione che nel 2016 ha sfiorato i 90.000 kg di farina commercializzata.

Il progetto “Pan e Farine dal Friùl di mieç”, promossa da quattro Sindaci del medio Friuli partendo dalla constatazione delle difficoltà di mercato e locali ha raccolto le aziende agricole, i centri di stoccaggio e gli essicatoi, i mulini, i panificatori, la piccola distribuzione locale, la ristorazione, i cittadini e le associazioni, i comuni in un unico progetto che prevede che ogni attore condivida alcuni principi di fondo e attivi azioni conseguenti.  I principi sono molto semplici: più sostenibilità significa meno inquinamento; più qualità delle produzioni minori intolleranze; più redditività per le aziende significa meno costi per i cittadini; più democrazia riduce la disgregazione sociale. Un progetto di “comunità”, di rafforzamento della comunità locale con l’apporto di tutti i suoi attori. Le azioni sono state definite per ciascuna categoria di attori; gli agricoltori si impegnano a mettere a disposizione alcuni terreni per la coltivazione cerealicola utilizzando metodi biodinamici e biologici e a partecipare alla costruzione condivisa e trasparente del prezzo del grano; i centri di stoccaggio si impegnano ad un corretto mantenimento dei grani, a non miscelarli con quelli provenienti da “fuori filiera”, a garantirne la tracciabilità e così via per i panificatori e i negozianti. Tutti si impegnano a rendere trasparente il meccanismo di formazione dei prezzi delle materie prime e intermedie. Dal canto loro i cittadini si impegnano ad acquistare il pane prodotto e a divulgarlo in altre comunità. I comuni fanno da garanti per l’intera operazione, supportano lo start up delle aziende che entrano nel progetto, lo promuovono a livello regionale negoziando anche azioni specifiche sul PSR (piano sviluppo rurale).

Prima delle conclusione si è sviluppata una interessante discussione che ha coinvolto il pubblico presente facendo emergere anche posizioni diverse di metodo di lavoro. Se tutti concordavano sulla importanza della valorizzazione della filiera del pane per supportare l’economia, la cultura e la comunità locale, alcuni interventi hanno sottolineato come sia necessario prestare maggiore attenzione ai piccoli produttori e alla trasparenza delle relazioni tra associazioni, consorzi e singole aziende anche di dimensioni molto piccole.

Al termine, dopo un intervento di Alberto Magnaghi, presidente onorario de La prima Langa, che ha sottolineato come sia fondamentale connettere tra loro tutti gli attori che rappresentano segmenti della potenziale filiera non ancora esistente. Il presidente dell’Osservatorio del Paesaggio La Prima Langa, Renato Galliano, ha lanciato la proposta di costituire un gruppo di lavoro per approfondire la possibilità di redigere e sottoscrivere un “patto” tra le diverse parti coinvolte per una filiera locale del pane in alta langa. Questo “patto” dovrà tenere conto, sia delle dinamiche di mercato, sia soprattutto della necessità di supportare tutti gli anelli della filiera produttiva in modo chiaro, trasparente ed inclusivo che, mutuando alcuni aspetti dalla esperienza friulana, definisca impegni e possibilità di ciascun attore. Tutti devono essere coinvolti nella definizione delle azioni da attuare per raggiungere un obiettivo condiviso: facilitare lo sviluppo e la crescita di una filiera del pane locale che sia salubre, attenta ai valori nutrizionali, tracciabile in tutti i suoi passaggi (anche nella formazione del prezzo finale), equa nella distribuzione del valore per tutti partecipanti, attenta alla cultura locale, al territorio e che favorisca la ricostruzione e il mantenimento di un paesaggio caratterizzato dalla policoltura in un’area, l’Alta Langa, caratterizzata dalla presenza di una vastissima biodiversità. I Comuni possono svolgere un ruolo essenziale nell’avvio e nello sviluppo del progetto individuando una specifica De.Co, Denominazione Comunale d’origine,  per l’intera filiera del pane dell’Alta Langa. Le De.Co sono  marchi di garanzia nati a seguito della L. n. 142  dell’8 giugno del 1990 che consente ai Comuni la facoltà di disciplinare, attraverso appositi atti, la valorizzazione di attività agroalimentari tradizionali. Possono quindi rappresentare il primo passo, ma anche una garanzia per tutti, verso la valorizzazione di una attività che contribuisce a salvaguardare il paesaggio e l’economia locale.

FONTE: https://www.settimanalelancora.it


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