Ci sono da sempre, a sfornare pane fragrante e (oggi pizze e croissant). Il Panificio Caimi, a Cascinetta di Gallarate, esiste da quando è nato il quartiere, anno 1939: «L’ha aperto mio nonno Ambrogio» racconta Rossano Caimi, oggi “patriarca” della famiglia di panettieri.Sono alla quarta generazione e hanno visto passare tutta la storia di questo quartiere, un tempo di profonde radici operaie: «Quando uscivano dalla fabbrica erano 4-5mila alla volta, tra Majno e Carminati».
Il quartiere nacque proprio a servizio delle fabbriche, tanto che il nome ufficiale era “quartiere Sant’Alessandro”, dal nome dell’industriale Majno, anche se poi nel tempo s’è imposto il più popolare la Cascinetta. Negli anni Trenta Gallarate finiva appena oltre il ponte della ferrovia, quei ponti che – anche nel linguaggio popolare – erano considerati un po’ come le porte della città. Oltre il ponte della ferrovia c’erano poche case, allineate su via Pegoraro (che allora si chiamava Brumana) e via Varese: la chiesa sorse nel 1933, il grosso delle case operaie nella seconda metà del decennio.
«Mio nonno era di Locate Varesino: a militare faceva il panettiere a Bormio, dove ha conosciuto mia nonna, che veniva dai Grigioni. Quando è tornato dalla leva ha comprato il terreno qui a Gallarate e ha preso in affitto il forno di fronte, della famiglia Banfi. E poi quando ha completato la casa ha aperto qui, 1939».
L’edificio è ancora quello che c’è oggi, con lo spazio di vendita, il forno vero e proprio, la cucina di casa, «che era cucina e ufficio insieme», ci racconta Rossano, al tavolo tra fatture, bollette e lettere dell’associazione Panificatori. «Nei primi anni di apertura due figli erano in guerra, il forno era tenuto aperto da mio nonno, dal terzo figlio e dalle figlie».

Negli anni hanno servito il quartiere e vissuto tutta la storia del luogo. Ad esempio le alluvioni causate dal piccolo, rabbioso torrente Sorgiorile, che proprio davanti al prestinaio s’infila sotto la strada. «Un tempo il passaggio era strettissimo. Avevamo i sacchi di sabbia sempre pronti». Snocciola le date degli straripamenti: quella famosa del 1951, quella del 1953, fino a quella del 1985. L’anno anche della mitologica nevicata dell’ottantacinque: «L’unico giorno in tanti anni in cui non abbiamo consegnato è stato un venerdì: giovedì abbiamo fatto consegna doppia, il giorno dopo abbiamo saltato».
Parlando dell’alluvione del 1951 citiamo a Rossano la foto della grande scritta su un muro di mattoni, dedicata al grande campione di ciclismo Gino Bartali. «Quella scritta lha fatta mio papà Pietro , che era bartalista: l’aveva scritto con la scopa, un giorno che passò il Giro d’Italia. Mio papà era interista, fondamentale per essere assunti qui» sorride Rossano.
