Nella sua boulangerie al 54 di boulevard de Reuilly, Makram Akrout si gode gli ultimi giorni da (potenziale) fornitore ufficiale dell’Eliseo. Il prestigioso incarico si somma all’assegno conferito all’artisan boulanger vincitore del Grand Prix della migliore baguette della capitale che per un anno intero servirà il pane alla tavola di Monsieur le Président. Almeno in tempi normali, al netto della pandemia, e (soprattutto) delle polemiche seguite all’ultima edizione di questa competizione che va avanti dal 1994 e che si svolge il lunedì precedente al 16 maggio, quando si festeggia Saint-Honoré, patrono dei fornai. Un riconoscimento importante per i 250 grammi più celebri di Francia, la cui origine affonda nella leggenda popolare e che il presidente Macron ha candidato all’UNESCO.
L’icona di 250 grammi. Qualcuno vuole che la baguette sia nata per consentire alle truppe napoleoniche di trasportare più facilmente il pane, qualcun altro ne ritarda la nascita al 1836, quando August Zang aprì la boulangerie viennoise sfornando per primo brioches e croissants (ancora oggi in Francia si chiamano “viennoiseries”). Qualunque sia l’origine, la baguette è incontestabilmente un’icona. Insieme a basco, marinière a strisce bianche e blu e fisarmonica appartiene al cliché caro soprattutto ai turisti. In tutto l’Esagono ne vengono prodotte circa 320 al secondo, cioè più o meno dieci miliardi all’anno. In versione classica o tradition, “sfornata” per decreto nel 1993 contro l’industrializzazione: a base di farine prive di additivi, deve lievitare per oltre 12 ore e va cotta sul posto. Eppure, questo simbolo della Francia perde progressivamente terreno in termini di consumo e di gusti. E mentre il jambon fromage cede il titolo di panino preferito dei francesi all’onnipresente hamburger, il pane diventa tondo, ovale, rettangolare, biologico, integrale, creativo e – sempre più spesso – firmato.
Gli chef con le mani in pasta. A due passi da una delle sue pasticcerie, Christophe Michalak, già chef patissier del Plaza Athénée, ha aperto Kopain, la boulangerie diventata uno degli indirizzi culto del Faubourg Poissonnière. “Dopo vent’anni di pasticceria elaborata, volevo tornare a sapori più semplici”: promessa mantenuta. Nel suo universo senza fronzoli il pane, con lievito madre e a lenta lievitazione, si sceglie su un grande carrello. Solo due varianti, ai semi e alla frutta, oltre al “kopain” base, con farina di grano antico, sale di Camargue e miele di castagno. Le pagnotte, anzi le tourtes, si comprano intere, a metà o in quarti e sono anche consegnate a domicilio, rigorosamente in bicicletta. Non è un caso se Thierry Marx, lo chef stellato anticonformista, impegnato nel sociale e ai comandi del ristorante del Mandarin Oriental ha chiamato la sua baguette “loyale”. Esprime uno dei suoi valori, la lealtà verso consumatori, fornitori e collaboratori, ed è il best seller della Bakery dove è ritratto in un profilo che fa il verso a quello di Hitchock. L’ex giudice della trasmissione Top Chef, che usa solo farine biologiche tracciabili e macinate a pietra nei mulini dell’Ile de France, ha creato il BreadMaki, un sandwich fatto con una sfoglia di mollica distesa su un teppaniaki, ripiena e arrotolata. Le tourtes, di tre tipi, e i “batards” (bauletti al farro, all’avena, rustico e norvegese, con malto e semi) completano le creazioni dello chef che ha aperto un centro di formazione di arte bianca, cucina e servizio a tavola completamente gratuito e destinato a chi non ha completato gli studi, a chi ha perso il lavoro e a chi cerca una riqualificazione professionale.

Pane e companatico. B.O.U.L.O.M. sta per boulangerie ou l’on mange. Insomma, il fornaio che diventa ristorante, come succede in questo locale del nord parigino ideato dallo chef Julien Duboué. Dopo il giro del mondo degli stellati e vari ristoranti (tra cui l’originale Corn’R in cui serviva solo mais in tutte le forme), apre questo luogo sorprendente che da fuori sembra una boulangerie di paese e dentro è un universo di 500mq. Oltre il forno a vista e il banco vendita di pani realizzati con grani antichi e mais macinati nell’ultimo mulino a vento del Sud Ovest, c’è il buffet pantagruelico servito a pranzo e a cena. Insomma, un vero universo che ruota attorno al pane di campagna e alle baguettes village. Il brunch del weekend è sempre completo da Benoit Castel, per il quale la boulangerie è anche pasticceria ed è soprattutto un luogo da vivere. Lo chef bretone, che si ispira a creativi e artisti della gioielleria, della street art e della moda, ha diretto il ristorante dell’hotel Costes e la Grande Épicerie, tempio della gastronomia parigina e ora, a due passi da place de la République ha dedicato un’intera boutique al pane biologico. I dolci arrivano dall’indirizzo storico del quartiere di Ménilmontant, gremito ogni sabato e domenica dalle 10.30 alle 15 e da prenotare con molto anticipo. Pani speciali, dolci, yogurt con granola, brioches da spalmare con burro fatto in casa e composte di frutta sono serviti a volontà insieme a quiches, insalate e piatti salati.