Giotto imparò nella «bottega» del maestro Cimabue, Leonardo da Vinci fece esperienza nella «bottega» del Verrocchio. Michelangelo si formò nella «bottega» del Girlandaio, e potremmo continuare… Il laboratorio, il luogo di lavoro, la bottega – appunto – ha sempre rappresentato per chiunque una tappa fondamentale nell’apprendimento del mestiere. Ne abbiamo parlato con Gabriele Lulli, fiorentino, panificatore di terza generazione. Fin dal 1950 prima il nonno e poi il babbo Roberto hanno fatto il pane a Firenze nord «quando intorno non c’era nulla». Ora, invece, ci sono grandi palazzi, il nuovo quartiere universitario e più in là pure l’aeroporto. Gabriele giocava sui sacchi di farina, poi – crescendo in bottega – ha pulito le teglie, le impastatrici, spazzato per terra, imparato a lavorare. Finché un bel giorno il babbo, dandogli le chiavi del bandone, gli ha detto solennemente: «domani apri te». [Continua a leggere dopo la foto]
Tanti anni sono passati e il forno Lulli non c’è più ma, in compenso, a Campi Bisenzio è nato «MA.CO.» Pizza a taglio dove Gabriele realizza – oltre alle pizze in teglia «farcite con prodotti di primissima qualità, che andiamo in giro a selezionare personalmente» (ci tiene a precisare) – anche buon pane, dolci da forno, crostate, biscotteria e frolle varie. «Il fornaio non è un lavoro, è uno stile di vita» – ci dice Gabriele – «E’ proprio il contrario di altre attività: stare con la famiglia, incontrare gli amici, uscire la sera… tutto è sconvolto dai ritmi del panificio. Se decidi di fare questo mestiere devi avere una forte motivazione». [Continua a leggere dopo la foto]
Arriviamo al punto. Chiediamo quanto sia importante la formazione per un giovane panificatore e se nel valutare un collaboratore per Gabriele conti più la «creatività» o la disciplina. «L’immagine del nostro lavoro che mostrano i media ultimamente è sbagliata. Sembra che il fornaio sia una star, un giocoliere free style. L’apprendistato in bottega invece è molto difficile: i giovani partono con entusiasmo poi capiscono che devono rinunciare alla ragazza, all’aperitivo con gli amici, al tempo libero e non reggono alla fatica. Certo, imparare in scuole specifiche è importante così come avere a disposizione un collaboratore preparato, almeno nei fondamentali». [Continua a leggere dopo la foto]
«La farò semplice ma per me i fornai si dividono in due categorie: quelli che faticano, si inventano nuovi prodotti e godono quando li vedono uscire dal forno… e quelli che eseguono solo il compito a loro assegnato, che non restano un minuto di più nel laboratorio e godono solo quando gli arriva la busta paga». Chiediamo a Gabriele di approfondire il concetto. «E’ vero che in questi mesi di emergenza Covid-19 i panifici hanno tenuto, ma l’aria è già cambiata: la gente sta tornando al lavoro, alla normalità e molti hanno ripreso a fermarsi al supermarket per comprare un po’ di tutto, compreso il pane. Proprio adesso dobbiamo offrire un super prodotto, lavorando il triplo con responsabilità, altrimenti disperdiamo tutta la fatica profusa fino ad ora». [Continua a leggere dopo la foto]
«Non voglio generalizzare ma chi ha moglie, figli ed ha temuto per la salute dei propri cari ha innato quel senso di responsabilità necessario per continuare a lavorare con impegno, fatica e dedizione. E’ vero che i panettieri bravi e preparati hanno il lavoro assicurato, ma per raggiungerlo (e mantenerlo) ci vuole preparazione e gran sacrificio». Poi ci saluta con una frase che vogliamo riportare proprio come l’ha detta, in fiorentino: «La farina l’è una delle cose più duttili ai’ mmondo. Te dammela, poi qualcosa t’invento!». E allora buon lavoro, Gabriele!
Alfredo Falcone – alfredo@pianetapane.it