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Frise e Friselle sono sempre una buona idea

Trascorrendo le vacanze estive nel sud Italia per godersi il meraviglioso mare e l’imbattibile gastronomia, è inevitabile imbattersi in qualche menù di ristoranti tipici contenente la versione tradizionale o quella gourmet della famosa e fino a poco tempo fa, solo casalinga, frisa o frisella.

E’ chiamata così in Puglia, fresella in Campania e fresa in Calabria e fondamentalmente è una tipologia di tarallo di grano duro nato anticamente come tale, poi sono arrivate le varianti in orzo ed altre composizioni di farine.

E’ il risultato di un’impasto dalla lievitazione di farina con acqua, sale e lievito, ma ciò che lo distingue dal pane, visto la presenza degli stessi ingredienti, è il taglio sul piano mediano orizzontale effettuato con un filo quando la singola forma è ancora calda e la successiva biscottatura (bis-cotto) per conferire loro quella speciale croccantezza. Ne consegue che la frisa ha due facce, una porosa e una compatta; quella porosa è la diretta conseguenza del passaggio irregolare dello spago nel taglio.

La frisa tra leggenda e storia

Sembra che le sue radici affondino nella mitologia; secondo la leggenda le frise sarebbero state portate nella nostra terra da Enea, nel momento in cui l’eroe dell’Eneide sbarcò in un’incantevole luogo che conosciamo oggi come Porto Badisco, a pochi chilometri a sud di Otranto.

Avvicinandoci ai nostri tempi a prima delle guerre mondiali, la frisa, fatta con il frumento di grano, era prerogativa solo dei ceti più abbienti ed era spesso presente in molte occasioni celebrative; ai poveri era destinata quella fatta con orzo o miscele di orzo e grano. Successivamente al dopoguerra quest’alimento si diffuse in tutte le classi popolari costituendo una valida alternativa al pane in periodi in cui la farina scarseggiava.

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In Puglia è nota anche come il pane dei Crociati giacché favoriva l’approvvigionamento delle truppe cristiane durante il loro lungo viaggio. Anche l’estetica del prodotto non è casuale ma risponde a precise esigenze di trasporto e conservazione; le frise hanno il foro centrale perchè venivano infilate in una cordicella per formare una collana facile da appendere per un comodo trasporto e conservazione all’asciutto.

La frisella era infatti un pane da viaggio; da qui l’uso di bagnarla in acqua marina da parte dei pescatori, che la usavano anche come fondo per le zuppe di pesce o di cozze, alimenti abituali durante le battute di pesca che duravano parecchi giorni.

Nelle tradizioni contadine, si procedeva alla panificazione con cadenza bisettimanale o addirittura trimestrale in capientissimi forni a legna comuni. Una quota limitata era costituita da pezzi di pane morbido da consumarsi subito, il resto dell’impasto era dedicato proprio alla produzione di friselle di più lunga conservazione rispetto al pane fresco tenero consentendo intervalli di panificazione maggiori.

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In casa le friselle erano conservate in grossi orci di creta (capasoni) oppure in cesti di vimini per preservarla dall’umidità. Pertanto, non era un prodotto da forno ricercato ma un prodotto alimentare di base e povero. La pezzatura della singola frisella corrispondeva alla porzione di pane necessaria al regime alimentare di un lavoratore addetto a lavori pesanti e spesso costituiva l’intero apporto calorico del pasto.

Dove trovare e mangiare la frisella

Attualmente la frisella è prodotta da forni commerciali in varie pezzature (frise e friselline) e venduta in confezioni imbustate nei supermercati di tutta Italia, ma nel sud Italia esiste ancora la tradizione della panificazione cosiddetta “secca” in pochissimi centri minori e famiglie.

Infatti fino a qualche annetto fa era prerogativa alimentare solo delle tavole casalinghe mentre oggi la frisa, grazie al grande turismo gastronomico che verte sempre più verso il cibo semplice e locale, si trova nei menù dei ristoranti più tipici del meridione e in particolare nel Salento, dove ultimamente sono nate le “frisellerie” dove degustare quest’ottimo piatto povero sia nella versione tradizionale, con olio, sale, pomodoro e basilico fresco, che nelle versioni più alternative e gourmet, accompagnate da ottimo vino e birre rinfrescanti.

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Le varianti più preparate sono la frisa con tonno, pomodoro, mais e rughetta, la frisa con olio, prosciutto cotto e mozzarella, la frisa con formaggio spalmabile, pomodori secchi, olio, olive e alici e ancora la frisa con aglio strofinato in superficie prima di bagnarla e poi condita con peperoncino e cetriolo. A Bari viene frequentemente preparata inzuppandola d’olio, acqua, sugo di pomodoro e un filo di vino quindi condita con carciofini e lampascioni, mentre a Napoli la fresella è la base della famosa caponata.

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Ma come si preparano le friselle?

In Puglia usualmente viene usato il grano del Salento o della Capitanata foggiana sia vagliato fine sia grossolano con parti di crusca. Le piccole frise bianche di grano tenero o quelle con farina ai cinque cereali si prestano ai condimenti più arditi poiché non sempre necessitano di essere bagnate in acqua, sono leggere e friabili. La frisa pugliese per tradizione è di semola di grano duro, di farina integrale o di orzo.

Ingredienti: 500 grammi di farina, 20 grammi di sale, 1/2 cubetto di lievito di birra (o lievito madre), 300 grammi di acqua.

Procedimento: setacciare la farina su una tavola di legno ed effettuare un buco al centro dove inserire tutti gli altri ingredienti. Lavorare l’impasto fino ad ottenere un panetto omogeneo e ben liscio. Lasciare lievitare per 2 ore circa, dovrà raddoppiare il suo volume. Poi lavorando ancora l’impasto formare dei panetti da 50 grammi l’uno circa, dando loro la sagoma di taralli chiusi (tipo una piccola spirale).

Far lievitare i panetti per un’altra ora disposti già nelle taglie. Quindi infornare per circa 20 minuti in un forno preriscaldato a 200°. Togliere la teglia dal forno e dividere i “taralli” in due parti con uno spago posizionandoli con la parte tagliata verso l’alto. Infornare nuovamente e togliere quando sono ben dorate. Attendere il raffreddamento completo e condire.

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Condimento: è superfacile “cunzare” (condire) una semplice frisa. Ed è più scenografico mettere in tavola, per la personale preparazione, il classico “sponzafrise”, una ciotola in ceramica utilizzata per “sponzare”(ammorbidirla) in acqua fresca. Tenuta a mollo il tempo giusto per raggiungere la preferenza di croccantezza/morbidezza, si appoggia sul ripiano sovrastante per far scolare l’acqua in eccesso. Si procede con il condimento a piacere nel proprio piatto. La tradizionale vuole: pomodoro tagliato a pezzi oppure spremuto sulla frisa, abbondante olio, sale e del freschissimo basilico.

Importantissimo! Errori da non commettere degustando una frisa.
• la frisa va mangiata (nonchè preparata) rigorosamente e tassativamente con le mani; non ha lo stesso gusto altrimenti! è una pietanza per buongustai!
• la frisa non è una panzanella: anche se gli ingredienti sono molto simili cambia il gusto, la preparazione e la croccantezza.
• la frisa non è solo un cibo estivo: anticamente veniva utilizzata per accompagnare brodi e zuppe calde; i pezzi rotti venivano utilizzati nelle gustose pappe al pomodoro; oggi moltissimi chef la utilizzano come componente croccante in tantissimi piatti rinomati.
• La frisa non ha additivi o conservanti: per aumentare la loro “shelf life”, in altri prodotti da forno, agli ingredienti di base vengono spesso aggiunti conservanti e additivi poco salutari; le friselle invece si conservano molto a lungo per natura, anche se fatte con ingredienti genuini ed in modo artigianale.
• La frisa non è propriamente dietetica: con circa 375 calorie ogni 100 grammi (valore variabile a seconda del tipo di farina usata) 0 mg di colesterolo, 8 g di proteine, 0,5 g di lipidi, 70 g di lipidi, la frisa è entrata a far parte della dieta mediterranea ma la necessità, per questioni di gusto, di condirla con abbondante olio d’oliva la fa rimanere sul border line nella categoria cibi dietetici.

FONTE: https://www.ilfaroonline.it

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