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EUGENIO POL, IL FOLLETTO DEL PANE E LE MAGIE DEL FORNO CHE HA CONQUISTATO L’ITALIA

Vulaiga non esiste. Come quella storia del Gotwiarghini, il folletto che sfamava i pastori sul Monte Rosa e custodiva il segreto di un tesoro. In questo caso però non si tratta di oro o di pietre preziose ma di un pane che, chissà come, è arrivato in Giappone e in Australia. Vulaiga non esiste perché non ha un account social, non scrive e-mail, non ha un ufficio stampa e nemmeno uno show room. Vive a Fobello, poco meno di duecento anime in Val Mastellone, valle laterale della Valsesia, dove i boschi hanno resistito ai relais e alle piste da sci. Eppure, Vulaiga, al secolo Eugenio Pol, con la barba lunga, i tatuaggi e i grandi pani da farine macinate a pietra sarebbe perfetto nelle schiere dei panificatori hipster tanto in voga nell’ultimo decennio.

Eugenio però è sempre stato così, lo era già venticinque anni fa, quando ha aperto il suo laboratorio a Fobello, nelle quattro stanze dove lavora tuttora, scegliendo il nome della neve quando svolazza leggera nell’aria. Questa storia comincia però ancora prima e da tutt’altra parte, a Milano, dov’è nato e dove studiava come perito chimico. “Lavoravo e studiavo. Facevo il fattorino per una ditta di stoviglie. Da lì ho iniziato ad appassionarmi di cucina”. Sullo sfondo, imponente, c’è il Monte Rosa e la Valsesia. “Ci andavo da bambino, con mio papà, a pescare e la passione mi è rimasta. Per le montagne e per la pesca”. Impara a cucinare da autodidatta, si sposta in montagna in un piccolo ristorante “dove in inverno si rischiava di restare bloccati dalle valanghe”. Inizia a farsi conoscere e negli anni successivi è un via vai tra Milano e la Valsesia fino a quando inaugura l’Osteria del Muntisel di Varallo. Lì ai fornelli è solo, cucina e fa il lavapiatti. Prova anche a panificare, si interessa di pasta madre chiedendo consiglio a un panificatore lodigiano, uno dei pochissimi, che la usava ancora: “Acqua, farina e aspettare che fermentino” la risposta. Così fa prove su prove e nel frattempo studia sui testi che riesce a recuperare, in tedesco e in francese: “Le parfait boulanger di Parmentier mi ha cambiato la vita” spiega.

Foto di Stefano Fusaro 

In Italia in quel momento nessuno parla di lievitazione, farine e di pane. O meglio di quel tipo di pane che lui inizia a produrre nel laboratorio di Fobello. “Mi sarei accontentato di fare il pane per gli abitanti del posto e passeggiare con i miei cani in montagna”, racconta. Però non accade proprio così: in Val Mastellone arriva Aimo Moroni che vuole portare il suo pane a Milano, così come faranno i Valazza , gli Alajmo, poi Bartolini, Cannavacciuolo, Grasso e Macchia, ma la lista sarebbe ancora più lunga. Il pane di Vulaiga diventa un must tra i ristoranti stellati, i clienti lo chiedono e chi riesce a reperirlo lo usa anche come regalo. Si tratta di un pane che viaggia, sulle lunghe distanze, che si può mangiare anche dopo quindici giorni. “Il pane di giornata è una trovata moderna. Il mio nasce da una madre che è viva, va mangiato fermo, non avrebbe senso farlo fresco tutti i giorni”. Com’era un tempo, quando si preparava nei forni comunitari accesi due volte l’anno: “Il pane di segale che si mette ad essiccare si può mangiare per mesi. Basta prepararlo in luna calante per averlo poi tutto l’inverno. In luna crescente invece potrebbe sviluppare la camelia con il rischio di buttare tutto”. 

 

Il pane di Vulaiga arriva in Giappone, grazie a una traduttrice di sanscrito che importa prodotti italiani e organizza sessioni di degustazione per gli appassionati. In Australia, “dove non so come sia arrivato”, lo chiamano per tenere dei corsi. Eugenio però resta a Fobello, da dove si sposta solo per fare le consegne con il suo furgone. “Mi hanno anche proposto di aprire dei negozi con il mio nome, facendo da consulente. Ma non sarebbe stato possibile, perché il mio pane sono io”. La madre respira l’aria di Fobello e beve l’acqua che qui è quasi basica. “Il suo Ph, nonostante l’abbia alimentata con cereali diversi, non è mai cambiato in questi anni, perché si è adattato a questo luogo. Altrove non potrei fare lo stesso pane”. Il rapporto con la madre è fondamentale: “Deve nutrirsi con tutto, secondo i suoi tempi”.

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