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Crisi del grano, i produttori di farine penalizzati da costi delle materie prime e distribuzione

Meno grano, e a prezzi sempre più alti. Così la crisi del mercato dei cereali colpisce l’industria molitoria nazionale (chi macina i vari cereali per produrne farina). Stretta tra i rincari record della materia prima e l’impossibilità di trasferire gli aumenti a valle, la “cerniera” della catena produttiva degli alimenti simbolo del made in Italy, come pane, pizza, pasta e dolci, è l’anello della filiera che sta pagando il conto più salato di uno scenario dalle conseguenze ancora imprevedibili a livello globale ma che ha già messo in luce le fragilità del sistema agroalimentare nazionale.

Il meteo delle ultime settimane intanto conferma le prime indicazioni di un calo dei raccolti nazionali, mentre l’Usda ha già tagliato le stima sulla produzione globale 2022-23 e Bruxelles cerca di correre ai ripari aprendo alla richiesta di molti Stati membri, tra cui l’Italia, di prorogare la deroga sull’uso dei terreni a riposo per rafforzare le produzione interna. Nel 2021 il fatturato dell’industria molitoria ha registrato una crescita dell’11,4% a 4,3 miliardi nonostante un calo dei volumi di sfarinati prodotti – essenzialmente farine di grano tenero per pane, pizza e dolci e semola di grano duro per la pasta – del 3,5% a 7,3 milioni di tonnellate.

Una crescita determinata dall’aumento dei prezzi ma «significativamente inferiore al violento incremento dei costi di produzione, e in particolare delle materie prime agricole ed energetiche che ne rappresentano complessivamente oltre l’80 per cento. Il comparto molitorio, il quale si è fatto carico di una parte rilevante di tali aumenti, è risultato spettatore forzato di un andamento schizofrenico dei mercati internazionali che ha travolto il settore minacciando, la sua stessa sopravvivenza», sottolinea il nuovo presidente di Italmopa, l’associazione che rappresenta l’industria molitoria nazionale, Andrea Valente.

Nel dettaglio, il comparto del frumento tenero ha registrato un incremento complessivo dei volumi produttivi di farine pari all’1,1 % riconducibile a un aumento significativo della domanda di dolci, con una crescita del fatturato del 12,5% a 2,09 miliardi, mentre il comparto della macinazione del frumento duro ha visto nel 2021 una riduzione del 7,7 % della produzione di semole dovuta essenzialmente alla contrazione della domanda dei pastifici ma comunque una crescita del 10,4% del giro d’affari a 2,2 miliardi, diretta conseguenza dei rincari record del grano già nell’ultimo semestre 2021 (anche il prezzo della semola è cresciuto del 20% e quello dei sottoprodotti della macinazione del 17).

Questo prima della guerra in Ucraina, che ha di fatto paralizzato il 30% dell’export mondiale di grano contribuendo a infiammare ulteriormente i listini nonostante i tentativi di sbloccare i raccolti ucraini stoccati nei silos, mentre le semine di quest’anno saranno inferiori del 40% rispetto alla media.
«Il conflitto in Ucraina sta impedendo a 25 milioni di tonnellate di cereali di entrare sul mercato internazionale, con forti impatti economici, a partire dal rialzo dei prezzi, e sociali soprattutto nel continente africano – spiega Carlo Licciardi, amministratore delegato di Cofco International e appena riconfermato presidente dell’Anacer, l’associazione dei trader del settore –. Con il blocco dei mercati ucraino e russo (dai quali comunque l’Italia importa appena il 3% del fabbisogno di grano tenero e il 6% del mais) abbiamo aumentato gli acquisti da Francia, Germania, Ungheria e Romania. Ma così hanno dovuto fare anche i Paesi che prima non si rifornivano qui, alimentando una spirale rialzista di cui è impossibile prevedere la fine».
Inoltre, aggiunge, «anche se la situazione dei porti sul Mar Nero venisse in qualche modo sbloccata, non ci sarebbe nessuna nave disposta ad andarci per ritirare il grano, senza un adeguato piano di sicurezza internazionale. Gran parte del grano poi è nei silos all’interno del paese, e bisogna capire se le strutture nazionali sono ancora utilizzabili». Anche il piano Ue per i corridoi di solidarietà «è difficilmente attuabile perché mancano i treni e al confine c’è il collo di bottiglia dovuto allo scartamento diverso dei binari».

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